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Nascere da una serata mal pagata

Betti Barsantini, il duo composto da Marco Parente e da Alessandro Fiori, è molto più di un progetto secondario. Lo si capisce subito quando inizia l’ascolto dell’album, un lavoro dove due musicisti del loro calibro hanno avuto il coraggio di rimettersi in gioco, senza ripetersi, creando qualcosa che è altro. Approfittando del mini tour siciliano,  li ho incontrati per parlare un po’ di questo progetto nato nel mezzo del cammin di loro vita.

I Bettibarsantini sono nati nel 2009, immagino per stima e per gioco. Chi dei due ha avuto per primo l’idea?
Marco: Quando ci incrociavamo ci ripetevamo sempre “bisogna fare qualcosa insieme”. L’occasione è arrivata quasi per caso: Alessandro aveva una serata mal pagata in un locale di Milano e mi chiamò. Gli dissi di trovarci ma di rifiutare di suonare a certe condizioni. Non c’è stato né calcolo né predeterminazione; è stato uno stimolo per entrambi, un giocare per vedere quello che poteva accadere. Ecco, possiamo dire che le prime prove dei Betti Barsantini sono nate come rifiuto a un concerto, anche se alla fine l’obiettivo è proprio quello di suonare insieme.

E suonando insieme, dal vivo, che suono hanno le vostre canzoni?
M: Il live è molto simile al suono del disco; sul palco, con noi, c’è anche Lorenzo Maffucci dei BlueWilla. Noi suoniamo e, per riprodurre fedelmente il suono del disco, ci aiutiamo con l’utilizzo di alcune basi. Purtroppo, a una settimana dal tour siciliano, quando abbiamo definitivo le date e le condizioni, abbiamo capito che sarebbe stato economicamente impossibile affrontare il viaggio in tre e così siamo ritornati alla vecchia formazione originaria. Abbiamo essenzializzato tutto. È uno spettacolo ridotto all’osso, un ritorno alla radice dei pezzi. Viene da dire la parola “acustico”, ma non è vero; diciamo che è acustico nel senso di ridotto. Ovvio che il suono in duo è un po’ diverso, e chi vede il live deve capire che non è esattamente quello che si può ascoltare nel disco.

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L’album è stato registrato a più riprese; se non sbaglio, infatti, la prima volta che siete entrati in studio come Betti Barsantini era l’agosto del 2012, nello studio di Alessandro. Avevate già in mente il risultato finale o si trattava solo di fermare un momento?
M: L’idea era quella di dimostrare: “siamo in grado di registrarcelo da soli”. Avevamo già realizzato alcune parti strumentali e così abbiamo chiesto a un nostro amico fonico di registrarci. Abbiamo buttato giù le prime basi dei pezzi, senza però ottenere il risultato che avevamo in mente. Quando si è concretizzato il rapporto con la Malintenti, ci siamo presi dieci giorni nello studio di Alessandro Asso Stefana a Brescia, dove sia io sia Ale ci sentiamo a casa. Con Asso c’è stata un’ottima intesa e, oltre a registrarci, è intervenuto come bassista e come produttore; e lì il materiale è completamente sbocciato, trovando la giusta messa a fuoco.

Il suono, quindi, in origine era leggermente diverso?
M: Sì. In origine mancava il basso e c’era una batteria posticcia con un po’ di elettronica. Inserire il basso e delle batterie più classiche ha ribaltato il risultato, rendendolo più convincente. Come una fotografia che iniziava a risaltare.

Come mai avete scelto proprio Asso? Forse è una domanda retorica, visto che lui ha iniziato a suonare proprio con te…
M: Mi fa piacere avere l’occasione di farlo presente, visto che nessuno ricorda mai che Asso o, per esempio, Enrico Gabrielli hanno cominciato a suonare proprio con me. Sapevamo che Asso poteva darci sicurezza; conosciamo molto bene lo studio e lui stesso ci conosce molto bene, avendo lavorato a stretto contatto nei vari dischi con me e Alessandro. E poi, avevamo voglia di veder finito il disco dei Betti Barsantini.
Alessandro: Sì, con Asso possiamo dire che siamo andati a colpo sicuro, sia per lo studio sia per la persona.

Invece, con la Malintenti, com’è avvenuto l’incontro?
M: Tramite un amico in comune, Luca detto il Gazza. È stato lui a metterci in contatto con Sergio della Malintenti. Sergio è un estimatore dei nostri lavori e Luca sapeva che eravamo alla ricerca di un nuovo referente che non fosse né la Urtovox, con cui ha lavorato Alessandro, né la Woland, con cui ho lavorato io. Volevamo confrontarci con qualcuno che considerasse i Betti Barsantini come una nuova band, senza risultare affezionato a uno o all’altro.

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L’ufficio stampa ha definito il vostro live un tg punk patologico. Vuoi spiegare meglio?
M: Possiamo fermarci qui e poi ognuno si fa i viaggi che vuole (ridono). Quella è una definizione che abbiamo coniato noi e che l’ufficio stampa ha preso in prestito. Deriva dal fatto che all’inizio, per divertimento, abbiamo realizzato dei comunicati ironici per i live. Inoltre ci sembrava che ci fosse davvero un’attitudine punk; a un certo punto abbiamo parlato anche di afro-dadaismo, ultimamente di punk confidenziale o punk chirurgico o new wave che ritorna nuova, ma sono tutte definizioni che lasciano il tempo che trovano. Ovviamente il termine “tg” era un collegamento alla Betti televisiva.

Parlando proprio del nome, ho letto in rete che, oltre a essere un omaggio alla giornalista toscana, è anche il titolo di una canzone di Alessandro. È vero?
M: Io non l’ho mai sentita.
A: Io non me la ricordo (ridono).
M: Prima di collaborare, ogni tanto Ale se ne usciva con questa interiezione: “bettibarsantini”. A me piaceva molto, anche se non la collegavo ancora alla giornalista. Quindi, quando abbiamo pensato di suonare insieme, abbiamo deciso di non uscire con il nostro nome ma di trovare uno pseudonimo dietro il quale celarci. Così gli ho chiesto: “che ne pensi se ci chiamiamo Betti Barsantini”?

Il risultato finale del disco è qualcosa che unisce il vostro modo di fare musica, con leggerezza ed equilibrio, a metà strada tra il pop italiano e la musica inglese. Siete contenti del risultato finale?
M: Sì, il disco ci piace molto. Soprattutto nella fase finale della masterizzazione, uscivamo dallo studio continuando l’ascolto dei brani in maniera quasi compulsiva. Ancora oggi, riascoltare l’album è un vero piacere. E, per quanto mi riguarda, è abbastanza strano; infatti, quando finisco un disco, può passare anche un anno intero prima che lo vada a riascoltare.

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Nel brano “Buon compleanno”, fate “tanti auguri al punk professionale e al primo disco”. Immagino che ci sarà un seguito, o sbaglio?
M: Certo, ne parlavamo proprio oggi.
A: Posso dirti che lo registreremo alle isole Egadi.
M: Sì, e sarà un disco tropicalista. Questa è la condizione.

Ma la definizione di disco tropicalista va intesa come quella di tg punk patologico?
M: (ridono) Diciamo che è quasi un vincolo contrattuale. E forse abbiamo anche il titolo: Bacalao spirituao (ridiamo)
A: La scommessa per il prossimo album è che l’ascoltatore faccia fatica a capire se il brano è stato scritto da uno o dall’altro. Ci piacerebbe scriverli insieme, trovarci in una stanza e improvvisare da zero con diversi strumenti.

Qual è il brano al quale siete più legati?
A: Pensando ai Betti Barsantini, direi “Dissocial Network” e “Terza guerra mondiale”, che sono i pezzi in cui le nostre vocalità si sono mischiate del tutto.

Dissocial Network” analizza, forse in modo dissacrante, il rapporto con il virtuale, il preferire a volte il virtuale al reale, creandosi una sorta di prigione.
A: Le gabbie ce le creiamo sempre.
M: Non sono d’accordo sul termine dissacrante. Infatti non ci mettiamo in cattedra a giudicare. È comunque una riflessione nella quale molti si potranno riconoscere.
A: Quando si parla con una persona, non c’è mai una relazione che non sia virtuale. La tecnologia contemporanea rappresenta il paradosso dell’animale-uomo, che gioca sul fatto di credersi e sentirsi qualcosa di diverso dalle altre entità che compongono la natura. Si può dire che la realtà, per l’animale uomo, è virtualità.

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Chiudo con due domande per riguardano Marco; di recente hai presentato su MusicRaiser un progetto con Ryland Bouchard. A che punto è?
M: Il disco è pronto e anche questo è stato realizzato da Asso. Abbiamo iniziato questa collaborazione quattro anni fa e per registrare l’album Ryland è venuto in Italia. Abbiamo provato a usare il crowdfunding ma non abbiamo raggiunto la somma richiesta, forse anche per un po’ di ingenuità nel suo utilizzo. Comunque, nonostante questo, il disco uscirà lo stesso.
A: E tra l’altro si tratta di un disco molto bello.

Per quanto riguarda la trilogia Suite Love, a quando il secondo capitolo?
M: Al momento la trilogia è in stand by, ma posso dirti che ho in mente già qualcosa di nuovo.

E mentre anche Alessandro Fiori annuncia che a breve tornerà in studio per registrare le nuove canzoni, ci alziamo per dirigerci verso l’enoteca Da Marius; lì, i due cantautori toscani, terranno un concerto bello ed emozionante, dimostrando che con i Betti Barsantini hanno creato un’alchimia che va oltre un semplice progetto secondario.

 (Pubblicato su Shiver)