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Continuano i bei concerti al Santeria Summerclub. Giovedì 8 agosto si è esibito in trio Gianluca De Rubertis, partner di Alessandra Contini nel progetto Il Genio. Shiver l’ha incontrato subito dopo il soundcheck per parlare del suo primo album solista e dei vari progetti in cantiere. Gianluca ha risposto, sorridendo, con la consueta franchezza.

Le foto del concerto sono di Michela D’Amico.

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Autoritratti con oggetti” è il tuo primo disco solista dopo le esperienze con Studio Davoli e Il Genio. Sbaglio o erano almeno cinque anni che pensavi di far uscire un disco tutto tuo?
Le prime avvisaglie sono del 2006, quando gli Studio Davoli erano in fase di ormeggio. In quel periodo ho iniziato a lavorare con Alessandra (Contini) al primo disco de Il Genio e ogni tanto mi capitava di scrivere qualcosa di più personale. In questo disco c’è anche un pezzo che risale a quegli anni. Finito il tour del secondo album de Il Genio, c’è stato un momento di pausa che mi ha dato la possibilità di lavorarci sopra. Da un certo punto di vista è stato meglio attendere tutto questo tempo, visto che i brani inseriti per ultimi sono anche i migliori. Un po’ come successe con il primo disco de Il genio; la canzone più bella è “Aria”, inserita nella ristampa.

Le canzoni riportano ai cantautori degli anni sessanta e settanta, senza inseguire la moda del momento e senza ricalcare un autore; ad esempio, Ringo Gaetano di recente va per la maggiore. Il tuo, in questo senso, si può definire un disco un po’ demodè.
Non mi spiego come un musicista sincero possa riferirsi in maniera spudorata a un altro autore. Ho avuto anch’io le mie influenze e la passione per certi musicisti, cantautori, compositori o attori. Ma alla fine bisogna fare qualcosa di spontaneo e soprattutto, lo ripeto, di sincero. Ho notato anch’io quello che dici riguardo Rino Gaetano e posso dire che non mi fa piacere, perché non la vedo né come una cosa nuova né interessante. Per quanto mi riguarda, non avevo nessuna velleità di fama e questo, di sicuro, è l’unico disco che potevo fare.

Nei testi usi parole desuete e rime non scontate. Sei un autore che dà molto spazio al testo, quindi deduco che dietro ci sia un grosso lavoro.
In tutta onestà i testi li scrivo sempre di getto. Quando sento che c’è l’ispirazione, mi metto subito al lavoro e poi non ci ritorno su. So di colleghi che lavorano diversi mesi sulle parole, ma io non amo dilungarmi troppo. Per quanto riguarda questo disco, alcuni testi li avevo già scritti in precedenza, anche se la forma era diversa da quella di una canzone. A volte erano pensieri, a volte poesie o diari. Quindi, alcune cose le ho estrapolate e riadattate.

Nel disco collaborano molti tuoi amici: Dell’Era, Rodrigo D’Erasmo, Enrico Gabrielli, Marco Ancona, Lorenzo Corti, Raffaele Kohler, per citarne solo alcuni. Che apporto hanno dato al suono del disco?
In effetti sono stati chiamati principalmente perché sono amici fraterni. Hanno regalato una buona veste alle canzoni e ho trovato più che naturale chiamarli. Devo anche ammettere, però, che come spesso capita non sono più tanto soddisfatto di questo lavoro. Cioè, potendo, ne farei un altro, magari inserendo altre canzoni.

Da cosa nasce l’insoddisfazione?
Soprattutto da alcuni risultati fonici. È un disco praticamente autoprodotto, registrato quindi in diversi posti sia in studi professionali sia in casa. Pensa che i fiati di Enrico Gabrielli li ho registrati a casa mia con una scheda audio da cento euro. Più che altro è un disco di assemblaggio delle varie registrazioni (sorride).

In un periodo in cui gli ascolti sono frettolosi, com’è stato accolto il tuo album dal pubblico, nei concerti?
So che per la maggior parte del pubblico non è risultato un disco così immediato. Bisognerebbe tornare ad ascoltare i dischi come si faceva una volta, non fermandoci a un primo fugace ascolto. A me è capitato con Paolo Conte. Quando ero molto giovane non mi sembrava per nulla interessante, fino a quando non ho trovato un suo disco in auto. Così, tra il viaggio di andata e quello di ritorno, ho iniziato a capire quello che c’è dietro. Quando c’è una distrazione così ampia come quella attuale e un consumo usa e getta, in qualsiasi campo, questo risulta essere il disco sbagliato in un momento sbagliato.

Facciamo un gioco; se il disco fosse un quadro o un film, chi avrebbe realizzato la tela e chi avrebbe firmato la regia?
Di sicuro un regista e un pittore molto simili a me, quindi io stesso che inizio a fare il pittore o il regista (sorride). Posso dirti che uno dei pittori che preferisco è Francis Bacon. A livello di regia, come regista puro, che sta dietro la macchina da presa, Stanley Kubrick. Ma da un certo punto di vista sono più interessato a chi si mette in gioco anche come attore, penso a Orson Welles e a Carmelo Bene. È un cinema completamente diverso, diciamo egocentrato.

Dal disco è nato anche lo spettacolo teatrale “Autoritratti con oggetti – quadri espositivi del disamore”; di che si tratta?
È uno spettacolo che ho scritto, un concerto che conterrà alcune parti senza musica, recitate, perché come diceva anche Carmelo Bene “la voce può essere un concerto”. Ci saranno sfumature concertistiche umorali che esulano dal solito spettacolo pop e sarà presentato in anteprima a gennaio allo Spazio Tertulliano di Milano. Sarò sul palco con la band e forse una figura femminile.

Passiamo a una serie di domande su progetti paralleli. Ti va di spiegare in breve cos’è il Rock and Roll Circus?
È una sorta di circo alla Rolling Stones con tanti ospiti, tante canzoni e tante proposte. Il complicato lavoro dell’organizzazione viene svolto da Lino Gitto e da Danysol (cantante delle Triacorda); immagina quaranta persone tra artisti, musicisti e fonici da coordinare. È una cosa molto bella e ci piacerebbe riuscire ad ampliarla ulteriormente.

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Tre anni fa è uscito il Lato Beat Vol.1; Il Genio, Dente, Calibro 35 e Dell’Era riuniti per realizzare cover anni sessanta. Uscirà mai il LatoBeat Vol.2?
L’idea c’era ma in questi tre anni sono successe tante cose. È molto difficile trovare i tempi per incontrarsi, ma sarebbe bello realizzarlo, anche perché è un lavoro tra amici e tra amici ci si diverte sempre.

Arriviamo a Il Genio; state lavorando al terzo disco?
Dovrebbe uscire a ottobre, questa volta con la Ego Music. È un’etichetta di musica dance e noi saremo l’unico gruppo italiano in catalogo.

Nello Studio Davoli, con te, c’era anche tua sorella che ora è nei Girl With The Gun. Matilde compare anche nel tuo disco solista; avete altri progetti di collaborazioni future?
Matilde sta finendo di registrare proprio in questo periodo il nuovo disco con i Girl With The Gun. Posso però dirti che anche lei ha iniziato a lavorare a un progetto solista. Proprio nei giorni scorsi ho sentito alcune canzoni e devo dire che sarà un ottimo disco, indipendentemente dal fatto che sia mia sorella. Credo che lei abbia un talento piuttosto raro. E comunque, sì, probabilmente suonerò qualche traccia di piano in quell’album.

Chiudo con una provocazione: so che sei cresciuto con la musica classica e hai anche riadattato una sonata di Beethoven con Il Genio (La pathetique). Di recente Giovanni Allevi ha fatto un’affermazione che è stata un po’ strumentalizzata; in breve, secondo lui Jovanotti avrebbe più ritmo di Beethoven. Qual è la tua opinione?
(sorride) Penso che qualsiasi opera di musica classica sia piena di ritmo; l’hanno dimostrato i gruppi progressive degli anni sessanta, l’ha dimostrato Renato Carosone con la Toccata e Fuga di Bach suonata in versione jazz con la sua band. Credo che Allevi si sia espresso male; invece di dire che Jovanotti ha ritmo, forse voleva dire che Jovanotti non è mai scevro del suono della batteria. Sarebbe stata di sicuro una frase più felice.

(Pubblicato in versione ridotta su Shiver)