In queste ultime settimane, il linguaggio che utilizzo con mia madre è il contatto. La demenza, purtroppo, ha eroso tutto il resto. Le parole che un mese fa le strappavano una risata oggi, molto spesso non riescono a sortire effetto alcuno.
Il contatto, le carezze, i baci e i massaggi sono le uniche cose che Lucia comprende e che l’aiutano a stare bene. Lei, con me, aggiunge anche i morsi, visto che la fanno ridere.
“Questo chi è?”, chiede alla badante quando mi vede.
“È tuo figlio!”.
Lei, però, sa che non può essere così. Suo figlio Marco è piccolo e “non mi somiglia per niente” (cit.).
Ma se poi la accarezzo, Lucia sorride e inizia a darmi del tu, contenta che io sia lì. In qualche modo riconosce qualcosa che non sa più.
Siamo nel mezzo di una pandemia e quindi bisogna fare molta attenzione, è vero.
Però non riesco a non pensare a tutti i malati di demenza che si trovano da soli in una struttura senza poter toccare i propri cari. Vengono privati dell’unico linguaggio che funziona, quello dell’amore.
Non riesco a non pensare ad Alessandra che non può accarezzare le mani di suo padre dal mese di marzo.
Possibile che non si riescano a trovare soluzioni alternative?
Qui ne parla anche Alessandra D’Ercole, mediatrice familiare e caregiver: http://www.italiamagazineonline.it/arch…/62009/senza-tatto
continuo a leggere il suo diario sulla rivista Mind. E mi meraviglio della sua forza.
Grazie del tuo messaggio Barbara. Quando ci si ritrova in una situazione del genere, la forza si trova. A volte, quando riascolto alcuni audio di questi cinque anni, non ricordo l’episodio ma ricordo bene la sensazione provata. E mi chiedo come ho fatto a uscirne indenne. Credo valga per tutti i caregiver.