Nei mesi in cui ho aiutato i miei genitori a vivere meglio le loro malattie, mio padre mi ha regalato molti ricordi. Viaggiano in parallelo con le (dis)avventure di mia madre. Quando riascolto gli audio mi accorgo che, mentre mio padre racconta, Lucia si intromette con domande o discorsi che non c’entrano nulla: questi erano un segno – che non siamo stati capaci di riconoscere – della demenza che si stava facendo largo.
Oggi mio padre avrebbe fatto cifra tonda. Quindi, per questi suoi ottant’anni, gli restituisco uno dei suoi ricordi. Convinto che lui stia vedendo e ascoltando tutto quanto. Lucia non si ricorda più che vi siete sposati, ma anche ieri mi ha chiamato con il tuo nome. Quindi, anche se non sa chi sei, nel suo cuore sei ancora con lei.

Il primo acquisto di mio padre per spostarsi in città, senza dover aspettare o inseguire i mezzi pubblici, non è stata una macchina – come gli sarebbe piaciuto – ma una motocicletta. Gli piaceva molto il Maggiolino ma costava 650.000 lire ed erano troppe per quelli che erano i suoi progetti. Così, alla fine, decise di ripiegare su una moto, un Morini 7bello, diventata famosa grazie al pilota Giacomo Agostini. La prima volta che chiese informazioni, a novembre, gli dissero che per 309.000 lire sarebbe stata sua.
Mio padre aveva messo da parte già 150.000 lire e chiese a suo nonno se poteva aiutarlo con il resto: Me ne servono 160.000, ma poi te li restituisco entro la fine dell’anno prossimo.
Suo nonno Nicola, per prenderlo un po’ in giro, gli disse che avrebbe voluto anche gli interessi e mio padre non fece una piega.
In quei mesi Sebastiano era stato inviato a Lecce per insegnare il lavoro di programmatore ad altri impiegati; la paga era buona e nei fine settimana era sempre libero. Al punto che, almeno una volta al mese, se ne tornava al suo paese, in provincia di Avellino.
Così, rientrato a Lecce, a fine gennaio Sebastiano andò dal Signor Carraro e, fingendosi disinteressato ma solo fino a un certo punto, riuscì a tirare sul prezzo, scendendo fino a 280.000 lire. Quando fece vedere i soldi in contanti, nonostante il prezzo più che ribassato, la moto fu sua.
S: «Ricordi il film con Totò e Peppino, quello in cui stampano i soldi falsi?»
M: «Certo. Dici La banda degli onesti?»
S: «Ecco, andai a pagare con quelle banconote lì. Erano da diecimila e sopra c’era Dante Alighieri.»
M: «Ma dai! Sai che questa cosa delle banconote con sopra Dante Alighieri non me la ricordavo per niente?»
S: «Sì, ma era disegnato sul retro. Compaiono anche in quell’altro film, come si chiama?»
M: «Quale?»
S: «Quello dove fanno vedere che Peppino nasconde le banconote sotto una mattonella e poi Totò gliele prende dall’altra stanza.»
M: «È Totò, Peppino e la Malafemmina», rispondo, mentre scoppiamo a ridere tutti e tre.
La passione per Totò è una delle cose che ho ereditato da lui e da mia madre. Quando sono usciti i dvd in allegato a Il Sole 24 Ore, li ha comprati per poi farmeli trovare tutti in camera, accanto al mio letto.
Mi spiega che le diecimila lire di quegli anni non avevano niente a che fare con le banconote con cui sono cresciuto io. Quelle erano grandi, molto grandi. Al punto che, per farle stare nel portafoglio, bisognava piegarle in quattro parti.
S: «Comunque, alla fine la moto ‘a tenetti sei mis
M: «Come mai così poco?»
S: «Perché in realtà io volevo comprare una macchina e dopo pochi mesi sarebbe arrivato l’inverno. E quando fa freddo, non è che avevo tutta questa voglia di andare in moto.»
Così, mi racconta che in quel periodo aveva conosciuto Pietro, un operaio che lavorava per il Comune di Lecce. Spesso si trovavano a parlare davanti a un caffè. Nei fine settimana, a entrambi piaceva andare al mare, fino a San Cataldo. Così si mettevamo d’accordo e partivano; uno metteva la benzina e l’altro, mio padre, metteva la moto.
Ogni volta diceva che era proprio bella, che gli sarebbe piaciuto anche a lui riuscire a comprarne una simile.
S: «Un giorno ho iniziato a dirgli che la moto l’avevo pagata 350.000 lire con tutti gli accessori. Però, visto che stavano cambiando un po’ di cose, forse era giunto il momento di comprare una macchina.»
M: «E lui?»
S: «Lui non disse mai nulla anche perché ogni volta dicevo sempre che non me ne volevo separare perché ci ero affezionato. Poi un giorno gli dissi che se trovavo qualcuno interessato, seppur a malincuore, quasi quasi l’avrei venduta.»
P: «E quanto vuoi?»
S: «Sai che l’ho pagata 350.000; ma se ricevo una buona offerta, la vendo.»
P: «Io se vuoi te ne possa dare 300.000.»
S: «Guarda, se arrivi a 310.000 la lascio a te.»
Così, dopo due mesi, il suo amico comprò la moto.
In quei due mesi, però, mio padre fece altri 20.000 km, andando spesso avanti e indietro tra Lecce e il suo paese. Poi, con la complicità del suo amico meccanico, modificò il tachimetro, lasciandone solo 9.000.
Tornò a Milano il 31 luglio e il 3 agosto iniziò a lavorare in Mondadori.
Alla fine, a Natale, tornò a casa da suo nonno a ridargli i soldi che gli aveva prestato.
Lui, che in realtà non li voleva, gli fece un buono postale. Mio padre lo venne a scoprire solo dopo i funerali.
Continuò a lavorare ancora nella sezione anagrafe degli uffici comunali di Lecce, Roma, Palermo e Messina, prima di rientrare a Milano.
S: «Trovai una camera in Via Lazzaro Palazzi al 15.»
L: «Ma dai, sai che lì ci abitava anche Sebastiano? Non è che per caso l’hai conosciuto anche tu? Forse non lo sai, ma era proprio nu bravo uaglione
M: «Come me?»
L: «See, proprio.»
S: «Allora come me?»
Lucia lo guarda, sorride e poi aggiunge: «Non lo so. Però tu un po’ me lo ricordi.»