Dalla metà degli anni sessanta, con l’avvento del beat e — soprattutto — di Lucio Battisti, la musica italiana subisce uno scossone che mette in crisi la popolarità di molti artisti in voga fino a quel momento. Persino Claudio Villa, nome di punta del canto melodico all’italiana, inizia a essere in difficoltà. Forse, anche per questo, cede alla corte di Carlo Loffredo che, da diversi anni, gli propone un’idea all’apparenza bizzarra: realizzare un disco con cover di brani anni quaranta.
Loffredo, che proprio ad aprile ha compiuto novant’anni, nonostante sia stato uno dei pionieri del jazz italiano, rimane ancora oggi un nome conosciuto quasi solo nell’ambiente; inizia la carriera sul finire degli anni trenta nell’orchestra 013 insieme a Piero Piccioni e suona con artisti del calibro di Django Reinhardt, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Chet Baker e tanti altri. Lui si è convinto (e alla fine ha convinto anche i dirigenti della Fonit Cetra) che il Reuccio, famoso per la voce tenorile e le serenate popolari, sia la persona giusta per dare nuova vita a successi del passato come Fiorellin del prato o Maramao perché sei morto.
È così che Carletto Loffredo e la sua band arrangiano tredici canzoni d’epoca e poi aspettano che Claudio Villa sia pronto per andare in sala a registrare l’album. Tanti anni di attesa per tre sole ore di lavoro; Villa, infatti, al primo colpo incide tutti i brani, senza alcun errore. Poi, insieme al suo amico jazzista, si allontana a bordo di una Moto Guzzi. Le versioni, in puro stile swing, hanno talmente successo che l’album, in poco meno di un mese, viene esaurito, spingendo Loffredo a pensare di realizzare un secondo capitolo Dixieland. Purtroppo, nonostante avesse anche arrangiato altre tredici canzoni, Claudio Villa si prenderà più tempo del dovuto, lasciando il secondo capitolo di questo progetto incompiuto. Nel 2010 è stata stampata la versione cd dalla Rhino Records.
(Pubblicato su Fuori Asse)