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Geografia dei Santo Barbaro
Di recente, uno dei dischi che mi ha entusiasmato di più è stato senz’altro Geografia di un corpo dei Santo Barbaro. Per questo nuovo album Pieralberto Valli e Franco Naddei hanno chiamato a raccolta altri sette musicisti della scena indipendente italiana e, in soli tre giorni, sono riusciti a registrare tutto in presa diretta. Christoph Brehme ha filmato una sorta di video-documentario visibile sul canale youtube della band. Abbiamo contattato Pieralberto per fargli qualche domanda.
Dovendo presentare i Santo Barbaro ai lettori di Poetarum Silva, come li definiresti?
Un gruppo postumo di musica italiana?
In sei anni i Santo Barbaro hanno pubblicato quattro dischi, cercando di realizzare sempre qualcosa di diverso dal lavoro precedente. Credo che, da questo punto di vista, l’incontro con Franco sia stato determinante. Hai mai pensato che, in un’epoca di ascolti frettolosi e disattenti, poteva risultare una scelta penalizzante?
Certo che lo è. Il pubblico si affeziona alle proprie certezze e se continui a spostare il centro fatica a ritrovarlo/ritrovarti. Però ognuno ha la propria strada da seguire, prima ancora di pensare a chi ha alle proprie spalle. Franco ha dato il suo contributo in ciò che sa fare meglio, e cioè nel dare la giusta forma a una idea iniziale, nell’incanalarla nella direzione in cui è naturale che vada. In studio ci divertiamo molto a darci dei limiti escludendo le strade che decidiamo di non percorrere. Il resto viene da sé.
Nel 2013, dopo il lavoro su “Navi”, il progetto Santo Barbaro si era fermato. Cos’è che ha fatto rimettere in discussione quella scelta?
La necessità di suonare, di esprimersi, di non voler morire di asfissia. Il nostro paese è culturalmente brutale e ama conformarsi al pensiero prevalente, sia esso di massa o di nicchia. Suonare oggi è una pura assurdità, è autolesionismo, ma preferisco morire di rabbia piuttosto che di rimpianti.
Navi è stato un lavoro a due, in cui avete limato ogni minimo particolare in maniera quasi maniacale. Geografia di un corpo, invece, è stato un lavoro di gruppo, registrato in presa diretta e senza modifiche in fase di missaggio. Dove ti sei sentito più a tuo agio?
In entrambi i casi. Navi era figlio di una idea di bellezza, Geografia di un corpo è figlio della morte del fratello più grande. Navi ha collezionato innumerevoli tributi ma si è arenato sulle onde della sua stessa bellezza. Se doveva esserci un seguito non poteva che essere come è stato: diretto, sprezzante, spigoloso, irregolare.
Quando ho letto della formazione allargata dei Santo Barbaro, mi è venuto in mente l’incipit di Nove navi (Nove navi pronte a partire / Nove corpi / Uno per ogni parte di me). In un’intervista, riguardo questo brano, hai detto: “Tutto parte dalla numerologia: nove sono le personalità, i destini. Le nove navi sono quindi i futuri potenziali, tra cui un individuo deve scegliere”. Così, mi sono chiesto, è solo una coincidenza che in studio vi siate ritrovati in nove?
Non credo molto alle coincidenze. Il nove è il numero del tutto e del niente, e questo sono i santo barbaro. Sono corpi e idee che si muovono su una dimensione a sé stante ben consapevoli del significato della scelta. Nove è il numero delle possibilità, per quanto sia poi una quella che si realizza di volta in volta. Geografia di un corpo può serenamente considerarsi il primo o l’ultimo disco dei santo barbaro, ma nel farlo non prende una posizione sul futuro ribadendo semplicemente la sua esistenza nel presente.
Anche in questo album ci sono diversi riferimenti e cito solo Pavel Lungin (“The Island”), Philip Dick e Houellebecq (“La possibilità di un’isola”). Sembra quasi che la tua scrittura parta dall’esigenza di restituire all’autore una tua visione delle cose.
Mi nutro di ciò che leggo e vivo. Mi piace dichiarare di volta in volta chi mi ha ispirato e in che modo. Mi sembra onesto. Non credo molto a chi pensa di dare una svolta alla storia. È tutto già scritto. Basta avere la curiosità e la voglia di cercare accettando di non essere i migliori.
Al disco fa da contraltare un romanzo che dovrebbe uscire a breve. È una chiave di lettura dell’album? Ce ne vuoi parlare?
Il romanzo è pronto da un po’ ma non so esattamente che fine farà nella nostra dimensione spazio-temporale. È il punto di inizio di tutto ed è stata la sorgente da cui sono stati tratti i testi. Allo stesso tempo è una storia totalmente autonoma che quindi completa il disco offrendo letture parallele. In fondo i testi sono tutti formati da due o tre parole.
Qual è il tuo rapporto con il corpo?
Bella domanda. Diciamo che mi sono accorto della centralità del mio corpo quando mi è stato confiscato per un paio di anni. In quel lasso temporale ho capito quanto cielo mi fosse negato, mentre io ero abituato a pensarlo come un mezzo per conoscere semplicemente questa realtà. Senza corpo non ci si muove e non si ascende, non si conosce e non si avanza. Paradossalmente nemmeno si invecchia.
Cosa stai leggendo in questo periodo?
Sto leggendo la biografia di Philip Dick di Emmanuel Carrere, ma non si tratta esattamente di una biografia. Come tutti gli umani, anche Philip Dick galleggiava in quella dimensione che ci lascia in precario equilibrio tra una infinita altezza spirituale e una grottesca caduta, tra la serietà delle nostre riflessioni e le vergognose bassezze del nostro ego. In fondo il nostro è un costante moto pendolare di fuga e avvicinamento al nostro centro, ma queste riflessioni non fanno di certo vendere dischi.
(Pubblicato su Poetarum Silva)