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È intitolata Sirèna la seconda parte della trilogia di Leo Pari, iniziata lo scorso anno con la pubblicazione di “Rèsina” e che, molto probabilmente, si chiuderà quest’anno con l’uscita dell’ultimo anagrammato capitolo. Scritto e registrato in presa diretta nell’estate del 2012 presso gli studi del cantautore romano (i Gas Vintage Studio), questo quarto album è stato diffuso solo l’8 novembre dello scorso anno per conto della Gas Vintage, l’etichetta discografica fondata dallo stesso Leo Pari.

“Sirèna” contiene dieci canzoni di puro pop, che continuano il lavoro del disco precedente e che descrivono, forse in modo autobiografico, le emozioni del vivere di tutti i giorni, raccontando dell’amore e della sua assenza, compiendo riflessioni che attraversano la quotidianità. Nel disco Leo Pari non si risparmia: suona la chitarra, il pianoforte, l’armonica e l’ukulele e si fa scortare, per l’occasione, da ottimi compagni di viaggio come Roberto Angelini (alle chitarre), Matteo Pezzolet (al basso), Daniele “Mr Coffee” Rossi (agli arrangiamenti e al pianoforte) e Tommaso Colliva (al missaggio). Da “Piccolo sogno” (dove noi viviamo giorno per giorno, tu al posto tuo e io al posto mio) alla particolare proposta di matrimonio de “La sposa di cera” (dove inviteremo tutti i soldatini e il prete lo farà il tuo cane), da “L’uomo niente” (che sta annegando in questo mare di perplessità) a “Ancora ancora” (dove il più bel regalo è sapere che non vivi più qua), le canzoni (più o meno) riuscite non mancano. La malinconia presente nel disco prova a nascondersi dietro alcuni giochi di parole come “come una bussola rotta che rotta non dà” (da “L’uomo niente”), “meglio una vita salutare che salutare la vita” (da “Assholo”) e “se di lavoro fai il personaggio sei un personaggio senza lavoro” (da “Boogie #12”) oppure dietro semplici ritornelli.

Possiamo di sicuro dire che il secondo episodio di questa trilogia è un buon lavoro, più convincente rispetto al primo capitolo. Leo Pari, infatti, riesce a piacere perché continua a non prendersi troppo sul serio, facendo della semplicità l’arma migliore della sua concezione della musica. Con l’ultimo capitolo sapremo dare il giusto valore a questa trilogia, parente alla lontana della scuola romana degli anni settanta.

(Pubblicato su Shiver)