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Il suicidio a domicilio
Di Martino può essere considerato a tutti gli effetti una delle voci più significative di questi ultimi anni. Leader prima del progetto Famelika e ora del progetto che porta il suo (cog)nome, l’abbiamo incontrato durante il Summerelse Festival per parlare di Non vengo più mamma. L’ep, uscito solo in vinile, si discosta dalle atmosfere che l’hanno fatto conoscere con i primi due album, abbracciando l’elettronica, molto presente nel progetto parallelo degli Omosumo. Abbiamo parlato anche di questo e di altro ancora.
Le foto sono di Michela D’Amico
“Non vengo più mamma” è un concept album di sei brani che parla dell’eutanasia e contiene un pezzo strumentale e uno recitato; com’è nata l’idea?
Come prima cosa è nata una storia in cui parlo di due ragazzi che decidono di suicidarsi per motivi prettamente filosofici e non per motivi legati al sociale. Diciamo che la storia è nata proprio partendo da un’idea filosofica e cioè che l’uomo potrebbe esistere anche senza il proprio corpo, idea legata alle religioni o a certi tipi di filosofia orientale. Mi piaceva l’idea di riportare questo concetto nella storia ordinaria di due diciassettenni, Claudio e Maria. Andando a scuola, frequentando la biblioteca, leggono un libro che parla di questo. E, visto che tramite internet è possibile ordinare il cosiddetto kit della dolce morte, effettuano l’ordine in rete, per verificare tutto questo. Trovo sia sconvolgente sapere che esiste realmente questo kit; con soli 37 euro puoi ordinarlo e arriva direttamente a casa. In Italia per fortuna non è una cosa legale.
Il vinile contiene anche un fumetto di Igor Scalisi Palminteri, in cui Claudio e Maria si trovano riuniti attorno al libro “Il corpo non esiste”; come nasce la collaborazione?
Mi piaceva l’idea di scrivere una storia, ma siccome non sono uno scrittore e non credo lo diventerò mai, ho coinvolto un mio amico pittore. Igor è stato un frate cappuccino che si è spogliato; ha studiato pittura fiamminga e ha un modo di dipingere molto realistico. Così gli ho chiesto di provare a fare un fumetto e ha realizzato queste tavole, in olio su carta, illustrando la mia storia. Alcune scene sono nate contemporaneamente alle canzoni e per una tavola ho cambiato delle parti del racconto. Diciamo che alla fine la storia l’abbiamo costruita insieme e le canzoni sono quasi un sottofondo di tutta la vicenda. Pur non parlandone, ne descrivono le atmosfere e gli stati d’animo.
Cosa rappresenta l’ep a livello musicale? Un esperimento o il prologo di una fase totalmente diversa per il progetto Di Martino?
È un insieme di canzoni che non sono state scritte tutte nello stesso periodo. Ad esempio “Come fanno le stelle” è un pezzo di Simona Norato (ex Famelika-Di Martino e ora nelle Iotatola, ndr), che ho voluto suonare a modo mio. Era da tempo che volevo cantare un suo pezzo e lei aveva questo brano che non è stato inserito nel nuovo disco delle Iotatola; così l’ho inciso io. Tra l’altro, si collega bene all’interno della storia che volevo raccontare. Poi c’è “No autobus” che è un pezzo che ho scritto prima del disco “Cara Maestra”, nel 2008; tutti gli altri invece sono stati scritti nell’ultimo anno, tutti con lo scopo di completare una storia, un’idea e un’atmosfera. Diciamo che non è un prologo per le mie cose future ma è da considerare come un qualcosa di passaggio.
Una cosa di passaggio nella quale sembra ti sia divertito.
Sì, anche perché ho fatto quello che mi piace. Quando ho deciso di realizzare un disco più elettronico l’ho inciso perché, in realtà, mi interessava farlo. Mi piace molto sperimentare e divertirmi.
E con gli Omosumo, in questi ultimi anni, ti sei divertito molto, sperimentando il più possibile.
Sì, il progetto esiste da circa cinque anni con Roberto Cammarata dei Waines alla chitarra e Angelo Sicurella alla voce. Insieme abbiamo sperimentato davvero molto. Abbiamo scritto tante canzoni e c’è stata un’influenza reciproca, uno scambio forte. Secondo me in una band deve sempre esserci uno scambio; se così non fosse, è un problema. Tra l’altro questo degli Omosumo è un progetto in cui credo tantissimo e che stiamo cercando di sviluppare.
Quindi ci sarà una nuova uscita discografica, dopo l’ep?
Stiamo finendo di lavorare al disco. A marzo è uscito l’ep che ora sarà stampato con dei remix realizzati da band elettroniche della scena italiana, sempre in vinile. Poi a novembre entreremo in studio per registrare il disco che uscirà agli inizi del prossimo anno.
E invece, con il progetto Di Martino, stai già lavorando a nuovi brani?
Per adesso no. A novembre ci fermiamo e ci prendiamo un po’ di tempo per poter lavorare con calma ai pezzi del nuovo disco. Il terzo album lo voglio sviluppare con tranquillità.
Quindi, ti riposi come Di Martino ma continui come Omosumo.
(ride) In realtà sì. Anche perché in Italia se si fa questo mestiere e non si va in giro a suonare, non si riesce a campare.
Tu sei di Palermo e il tuo nome è uscito in altre interviste fatte qui al Santeria con Alì, Toti Poeta e con Fabio dei Black Eyed Dog. Proprio Fabio ha detto che “forse a Palermo si è persa l’opportunità per creare qualcosa di più grande”. Cosa ne pensi?
Lo capisco. In generale penso che, comunque sia andata, è stata una cosa positiva. È comunque positivo che una città come Palermo abbia una scena musicale, anche se non del tutto unita e omogenea; anche perché, onestamente, questa città non ha mai avuto una scena musicale così forte. Collegandomi al discorso di Fabio, penso che qui siano mancate le strutture capaci di legare i vari progetti. Se ci fai caso, siamo tutti legati a etichette diverse: Nicolò Carnesi ha un’etichetta palermitana che comunque è diversa da quella dei Pan del Diavolo, palermitana anch’essa, mentre io ho iniziato subito con la Picicca. Quindi, forse, anche questo non ha favorito uno sviluppo più omogeneo ed unito. Però, ripeto, trovo sia comunque positivo che in una città come Palermo nascano delle realtà del genere, in un contesto dove non ci sono di certo le condizioni “climatiche” per farle nascere.
Immagino che nel cassetto esistano ancora altre canzoni scritte durante il periodo Famelika o sbaglio?
Sì, assolutamente sì. Ogni volta che ne parlo è come se si riaprisse una ferita, ma i Famelika sono stati vittime del mercato discografico. Avevamo già un disco pronto con brani inediti, canzoni davvero molto potenti, ma non siamo riusciti a trovare nessuno disposto a investire su di noi e sul nostro album.
Dopo l’uscita del tuo secondo disco, su YouTube sono comparse anche le versioni dei Famelika di alcuni brani contenuti in quell’album; ti riferisci a queste canzoni?
No, quelle sono canzoni successive al periodo del quale sto parlando. Come Famelika ci siamo sempre autoprodotti i dischi; e per farlo abbiamo suonato ovunque, dalle pizzerie alle balere, cercando di mettere da parte i soldi per registrare le nuove canzoni. Il problema è che, alla fine, eravamo stanchi di dover ricominciare ancora tutto daccapo e così abbiamo iniziato a cercare un produttore, qualcuno che credesse in noi, investendo dei soldi. Nessuno si è fatto vivo ma oggi ritrovo gente alla quale avevo chiesto soldi per quel progetto che vorrebbe produrre un mio disco. E puoi immaginare come gli rispondo (ride e fa il gesto dell’ombrello, ndr).
Non hai trovato un produttore per i Famelika ma come Di Martino è stato tutto molto più facile, giusto?
Sì, è stata una cosa molto immediata. Nel 2010 ho finito di registrare a Milano il disco “Cara maestra abbiamo perso” e arrivato a casa ho mandato un link a Matteo Zanobini della Picicca Dischi per farglielo ascoltare. Lui ha deciso subito di produrre il disco, dicendo “ho trovato delle banane” (ride).
So che con Simona Norato c’era in ballo anche il progetto Miss Mousse; vedrà mai la luce?
Per ora è tutto arenato perché il batterista è andato a vivere in Olanda e non abbiamo registrato nulla. Si tratta di canzoni per bambini riscritte per adulti, un esperimento con il quale abbiamo realizzato un solo spettacolo in cui eravamo attori e cantanti. Attualmente non c’è in progetto di fare nulla, ma se dovesse rientrare il batterista…
(Pubblicato su Shiver)