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Il 2 settembre è uscito “Dancing Polonia”, il nuovo disco dei Saluti da Saturno (qui la nostra recensione), il progetto di Mirco Mariani. Dopo aver ascoltato il disco, abbiamo deciso di fargli qualche domanda sul nuovo album, sulle collaborazioni e sull’insolita promozione.

Dancing Polonia è stato anticipato da “Un giorno nuovo, canzone ispirata all’ultimo film di Aki Kaurismaki, Miracolo a Le Havre. Nel brano compare anche Arto Lindsay, dei Lounge Lizard. Ce ne vuoi parlare?
“Dancing Polonia” è per me proprio un giorno nuovo. Anzi due: quelli passati con Arto Linsday a Bologna, una di quelle esperienze che lascia il segno e una gran voglia di ripartire per una nuova era, piena di colori saturi, personaggi stralunati, incontri surreali dove il romanticismo può convivere con la follia come nei film di Kaurismaki. L’intervento di Arto Linsday nel disco è stato per me molto importante, mi ha svelato la costruzione del suo rumore musicato che per anni ho inseguito e cercato di capire ascoltando i suoi dischi; sentendo il suo lavoro su delle mie costruzioni, che ben conoscevo, ho capito ancor meglio la sua grandezza. Scherzando gli ho detto che mi stavo preparando per diventare l’Arto Linsday italiano, lui si è messo a ridere ma mi ha preso sul serio e mi ha accompagnato in un negozio ad acquistare un pedalino che mi avrebbe messo sulla retta via.

Ascoltando le tredici canzoni del disco si trovano altri riferimenti cinematografici (L’uomo che verrà in “Ombra” e Vodka Lemon in “La vita mia”). Possiamo dire che l’intero album ha una sua sceneggiatura?
Quando parlo di “Dancing Polonia” spesso mi capita di pensare più a un film che a un disco,  le maggiori fonti di ispirazione sono proprio quelle che tu hai citato sopra,  un film con una colonna sonora ispirata da grandi maestri del free jazz cantautorale come Secondo Casadei, Sergio Endrigo e Ornette Coleman.    

Hai diviso la produzione artistica con Massimo Simonini, direttore artistico di Angelica Festival; com’è stato lavorare insieme?
Ritengo Massimo uno dei più alti esempi di uomini in musica. Il suo intervento non è mai stato solo musicale ma ci ha guidato attraverso costellazioni, visioni, tensioni elettriche, una volta provato si fa fatica a farne a meno e solo grazie a lui si è potuta concretizzare la presenza di Arto Linsday. La via lattea è il suo percorso quotidiano.

Per promuovere il disco è stata organizzata una raccolta di figurine digitali. I primi tre classificati (che poi sono diventaticinque) hanno vinto il disco autografato e l’album stampato. Com’è nata l’idea?
È nata durante un volo immaginario come immaginario è il viaggio scandito dalle figurine, immagini scattate dal numero 22 al numero 34 di via Marsala a Bologna, 1000 km in 20 metri. Il senso della musica dei Saluti da Saturno è fortemente legato all’immaginazione incosciente e surreale come spesso sono i giochi dei bambini. L’ingenuità, l’istinto e l’errore spesso sono più centrati di una costruzione celebrale. Con il passare del tempo l’unica cosa che non mi interessa della musica è quando diventa troppo seriosa, inscatolata, vittima delle mode e si trasforma in una gara affogandone il senso.

Da collezionista ti chiedo se l’album sarà pubblicato in seguito anche per chi acquista il vinile o è, diciamo, a tiratura limitata
Fin dal primo disco mi ero ripromesso di fare i vinili. Ora l’idea è di stampare su vinile il meglio dei tre dischi, ma su queste cose cambio spesso e velocemente idea.

Nel disco, oltre a quella di Arto Lindsay, ci sono altri nomi eccellenti: Paolo Benvegnù e amici che ti legano a Vinicio Capossela, come Alessandro Asso Stefana, Vincenzo Vasi e Taketo Gohara. Come sono nate queste collaborazioni?
Ho conosciuto Paolo Benvegnù l’estate scorsa, durante un concerto nel quale suonavamo entrambi. Grazie a Michele Pazzaglia, suo fonico che ha registrato anche il nostro disco, è scattata questa bella collaborazione che mi rende felice, visto che reputo Paolo Benvegnù e Cristina Donà autori di due tra le canzoni più belle della musica italiana. Asso, Vincenzo e Taketo sono amici di sempre, un porto sicuro, sono grandissimi musicisti e ci lega, da tempo, la stessa sensibilità e ricerca sonora strumentale.

Avete iniziato un breve tour chiamato Da Valdazze a Cracovia solo andata; come viene accolto il nuovo disco dal pubblico?
Il breve tour estivo sta preparando delle grosse novità per il futuro e soprattutto una maggiore consapevolezza che l’incontro italo polacco porterà una maggior coinvolgimento del pubblico che potrà diventare protagonista a sua insaputa lasciando sempre più in disparte l’ idea del concerto confezionato. Il free jazz cantautorale dei Saluti da Saturno ancor di più vuole abbassare i riflettori sul palco per distribuirli in una esperienza collettiva.

Da Valdazze a Cracovia; quanto è importante viaggiare per i Saluti da Saturno?
Spesso il viaggio più bello si fa stando fermi in un posto che aiuta a stare leggeri sulla terra e vedere un precipizio non come un pericolo ma come un trampolino di lancio per il volo. Anche se la curiosità e il desiderio di organizzare gite musicate non ci manca. “Dancing Polonia” è il nostro locale immaginario da raggiungere ad ogni nostra fermata.

Sei famoso per suonare strumenti che difficilmente si conoscono; da dove nasce questa passione?
“Romagna mia romagna in fior lontan da te non si può star…” chi come me ha frequentato le balere di qualche anno fa, sa che poteva capitare di innamorarti di qualche bella signora o di qualche bello strumento ingombrante che aveva il buon profumo di un vecchio libro. Da allora il profumo dello strumento è la prima cosa che mi colpisce. Raramente uno strumento nuovo ha un buon profumo, perché non ha niente da raccontare.

Chiudo con due curiosità. Sin dal primo disco, le voci sono state diverse; da Capossela (che con tre canzoni vi ha dato una certa visibilità) a Roberto Greggi per arrivare a Bruno Orioli. Tutti si sono rivelati ottimi interpreti delle tue canzoni. Quindi, devo pensare, è un modo per far capire che la canzone è più importante di una qualsiasi voce?
La canzone è di chi la canta, chi la scrive ne rimane solo il primo proprietario. Mi piace chiamare il mio progetto flexibile orchestra proprio per cercare di uscire dalla trappola convenzionale dei tre musicisti più il cantante e vedere così la formazione come una girandola in movimento.

Inoltre, Mirco, quando tu canti una delle canzoni che hai composto, è per dargli un’importanza maggiore, è perché emotivamente quel brano ha un’importanza particolare oppure si tratta di un semplice caso?
Col passare del tempo ho raggiunto una maggior consapevolezza di non essere un cantante ma di poter riuscire a cantare le mie canzoni. Proprio come diceva il capo orchestra del Dancing Polonia di riviera… “tutti hanno il diritto di cantare, ma sottovoce”.

(Pubblicato su Shiver)