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Le Iotatola sono una band femminile composta da due ragazze palermitane: Serena Ganci e Simona Norato. Le ho incontrate prima della loro esibizione al Santeria Summerclub, dove hanno proposto uno spettacolo su Giuni Russo; abbiamo parlato del loro incontro, del nuovo album e di questo tributo particolare.
Iniziamo dal 2009. Da una parte c’è Serena con il progetto Serenella e il disco “Scirocco”, dall’altra c’è Simona che passa dalla chiusura del progetto Famelika all’inizio del progetto Di Martino. Giusto?
Simona – Sì, quello è stato l’anno della transizione da un progetto all’altro; con Antonio Di Martino stavamo lavorando alle canzoni del nuovo disco. Nello stesso tempo lui stava cercando un nome per il progetto, senza sapere che quello giusto l’aveva dalla nascita.
Serena – Io vivevo a Parigi ed ero rientrata da poco per colpa del vuoto a forma di Sicilia che si riesce a colmare solo con la Sicilia. Venivo dal jazz e non avevo mai veramente scritto canzoni in italiano, a parte Scirocco che era comunque in dialetto. E rientrando a Palermo trovai un bel fermento musicale.
Come vi siete conosciute?
Serena – Diciamo che a Palermo i musicisti si conoscono quasi tutti di vista. Girando i vari locali ho visto Simona suonare e un giorno le ho chiesto se voleva ascoltare le cose che avevo scritto. Ricordo che ascoltammo i provini in un parcheggio, nella sua auto, e alla fine mi disse: “Sono belle ma vanno sporcate”. Io venivo da un percorso più accademico e quella frase mi rimase impressa. Ricordo anche il primo giorno di prove in cui spuntai con gli spartiti e lei disse “E quelli, cosa sono?” (ridono). Abbiamo iniziato a lavorare con l’idea di montare una band; poi mi ha suggerito di iniziare a suonare la batteria e non cantare soltanto. Tutto è successo in modo naturale.
Nel 2010 è arrivata la vittoria a Musicultura con la canzone Addio; eravate già sul palco insieme, anche se il progetto era sempre a nome di Serena Ganci.
Serena – Avevo inviato un brano a Musicultura e, superata la prima selezione, ho chiesto a Simona se voleva venire con me; le Iotatola sono nate lì. Fin dalle prime selezioni ci siamo rese conto della forza che aveva il nostro incontro, anche grazie alla risposta positiva del pubblico e dei giurati. Abbiamo suonato prima esibendoci solo con chitarra e voce e poi aggiungendo un pezzo alla volta, la grancassa, il timpano. Vincere è stata una grande soddisfazione e l’anno successivo abbiamo fatto uscire il primo disco, “Divento Viola”.
Disco che è stato accolto molto bene dalla critica e al quale il pubblico si è subito avvicinato con interesse.
Simona – Sì, anche se ovviamente il pubblico è più legato ad alcuni brani, quelli che sono stati spinti di più come “Il Principe azzurro”, in cui molti della nostra generazione si rispecchiano, o “Divento viola” con l’ingoiare i parenti e tutto quello che sta non si sopporta. Però hanno anche ascoltato il resto del disco, che non è esattamente come i primi estratti, è più complesso, più sperimentale. Comunque i dischi non si vendono (ridono).
Un’altra risposta molto bella da parte del pubblico l’avete ottenuta raccogliendo € 4.000 tramite MusicRaiser, per realizzare il secondo disco che esce ufficialmente il 10 settembre e si intitola Pop Corner.
Simona – Devo dire che il nostro pubblico è sempre particolarmente affettuoso. Abbiamo fatto lo sforzo di abbattere quella barriera che spesso c’è fra chi canta e chi ascolta, creando una sorta di comunicazione. Quest’anno l’affetto del pubblico si è manifestato proprio con il raising. Hanno acquistato in anticipo un disco che non sanno com’è, sulla fiducia. Trovo che sia una cosa straordinaria, soprattutto in un momento di crisi come questo.
Che disco ci dobbiamo aspettare?
Serena – Il titolo dice tutto: è l’angolo pop delle Iotatola, Ci siamo volute cimentare nel vero pop e ci siamo divertite. Nonostante il primo disco, molto più sperimentale, noi abbiamo davvero un potenziale pop, nel senso proprio di popolare. Riteniamo che il popolo non sia ignorante ma sono le radio e le televisioni a renderlo tale. Abbiamo voluto fare un disco pop e credo sia riuscito abbastanza bene; ci sono cinque potenziali singoli, adatti alle radio, e dei b-side che si avvicinano di più alle sonorità del primo disco.
Ci sono anche collaborazioni?
Simona – In un brano compare Samuel dei Subsonica. Gli abbiamo mandato un nostro brano, l’ha sentito e, con molta umiltà, si è preso del tempo per scrivere un nuovo ritornello, cosa non facile e scontata.
Serena – Il nostro era un bel ritornello ma lui ne ha realizzato uno decisamente più bello; e lì capisci cosa vuol dire aver imparato il mestiere e quanto sia bello potersi confrontare. Per problemi logistici, però, abbiamo lavorato a distanza.
Simona – Ci siamo incontrati solo pochi giorni fa. È venuto a sentire in un locale il nostro tributo a Giuni Russo e alla fine del concerto è stato bello fermarsi a parlare. Ci ha incoraggiato per questo nostro passo verso il pop, verso qualcosa per noi di nuovo. Sai, quando sei un indipendente devi rispondere solo a te stesso ma quando firmi un contratto discografico ci sono tante aspettative e se da una parte c’è maggior possibilità che qualcosa accada e dall’altra hai anche dei vincoli.
Questa sera vi esibite proprio con l’omaggio a Giuni Russo; com’è nata l’idea?
Serena – Già da tempo volevamo fare un tributo a una donna siciliana; in un primo momento abbiamo pensato a Carmen Consoli ma poi abbiamo deciso per Giuni Russo, nonostante, il suo, sia un repertorio davvero complesso e articolato. Lei ha una tessitura vocale che è molto lontana dalla nostra. Non è stato semplice lavorarci, ma alla fine siamo riuscite a trovare la nostra chiave di lettura. È stato anche molto gratificante perché le canzoni sono molto belle e lei è talmente contemporanea che in questo momento è molto più vicina a noi rispetto alla Consoli. Per noi è anche stato uno stimolo; non a caso il nuovo disco ha anche questo tipo di sonorità.
Simona – C’è anche da dire che siamo innamorate delle avanguardie siciliane, che esistono da sempre in Sicilia. Pensa che negli anni cinquanta il Maestro Eliodoro Sollima ha scritto delle partiture e, per tre anni, ha fatto credere a tutti che erano di Franz Liszt, che le aveva ritrovate. La stessa Giuni era sicuramente un’avanguardista che è stata prima soffocata e poi dimenticata, assassinata dai discografici. E la cosa più naturale era realizzare uno studio sulle sue canzoni, cercando di accendere, almeno in questo modo, la memoria sull’opera nella quale ha investito tutta la sua vita.
Quali canzoni ci saranno nel live?
Serena – Ci siamo concentrate sulle cose più vicine al nostro gusto e alla nostra poetica. Il repertorio comunque è quello degli anni ottanta, compresa la collaborazione con Franco Battiato. Quindi canzoni come: “Champs Elysées”, “Mediterranea”, “Una vipera sarò”, “Un’estate al mare” e “Strade parallele”.
Entrambe siete state parte attiva de L’Arsenale; ci volete parlare un po’ di questa esperienza, a che punto si trova adesso?
Simona – In questo momento è in una fase di stanca. L’Arsenale è nata dalla voglia di fare rete, dal desiderio di mettere in contatto artisti più piccoli, di tutti i settori e di tutti i tipi di arte, per creare cultura, per creare eventi. In una certa misura è anche successo. All’inizio è stato bello e molto motivante, con tanta partecipazione, poi qualcosa si è spento. Forse è una cosa genetica dei siciliani; partiamo sempre con un’incredibile energia iniziale e poi tutto va scemando. Abbiamo difficoltà a comunicare con il resto della nazione. Se capita una cosa in Italia lo sappiamo subito, ma al contrario no. Sono nate belle cose, ma ora è tutto un po’ fermo.
Serena – Purtroppo quando queste cose assumono un valore un po’ troppo politico, perché fare cultura è già politica, tutto si sgretola. Comunque sono nati degli incontri, delle collaborazioni che restano. Tutti noi abbiamo avuto delle esperienze molto forti. Sentiamo il bisogno del confronto, sentiamo cosa fa in studio l’altro, e tutto questo ci aiuta a crescere. L’Arsenale, dal punto di vista umano e artistico, ha creato uno zoccolo duro che è rimasto e che si consolida ogni giorno di più, anche grazie al continuo confronto.
C’è un libro che vi ha cambiato, se non la vita, almeno una giornata?
Simona – Non è un libro di narrativa: è Psicomagia di Jodorowski. Nella psicomagia e nelle sue teorie ho trovato delle cose che stavano prendendo forma nella mia testa, talmente fuori dal reale che non volevo darle credito ma ritrovarle su quelle pagine mi ha fatto sentire una pazza molto sana. Credo in quella filosofia del desiderio che fa succedere le cose e che cambia gli eventi, che fa arrivare le persone che desideri, gli atti psicomagici.
Serena – Io ultimamente ho letto un libro che, anche se non mi ha cambiato la vita, mi ha abbastanza sconvolto; è L’arte della gioia di Goliarda Sapienza. È bellissimo. Essendo donna mi sono rivista in questa donna catanese, a cavallo della seconda guerra mondiale, un’anarchica rivoluzionaria e una bisessuale. In queste pagine leggo della contemporaneità che probabilmente non c’era allora in Italia. È stato un bel romanzo e l’ennesima dimostrazione di quanto questo paese sia avanti.
Simona – Leggo anche Pavese e quest’anno ho scoperto Patrizia Cavalli. L’ho scoperta attraverso la musica, perché ha collaborato con Diana Tejera; a marzo le ho viste in concerto a Roma, al Valle. Ha una voce propria, è fantastica.
So che in passato avete fatto anche le selezioni di Sanremo.
Serena – È il mio sogno da bambina, magari è un po’ tamarro ma ho questo sogno. Siamo arrivate fino all’ultima selezione per Sanremo Giovani ma poi ci hanno fatto fuori. Continuo a pensare che sia una bella vetrina, ma non bisogna basare tutto su quello. Il problema di questo mondo sono gli addetti ai lavori che non sono veramente addetti (sorride).
Dimartino, nell’ultimo ep, ha inciso “Come fanno le stelle”, brano scritto da Simona. Nei giorni scorsi l’ho intervistato e l’ultima domanda è proprio una sua curiosità: vuole sapere se la versione che ha fatto del tuo pezzo, ti piace, perché non l’ha ancora capito.
Simona – (ridono) Mi piace molto e credevo di averglielo fatto intuire. Essendo nata voce e chitarra sarò sempre legata alla versione in acustico, ma da tantissimo tempo speravo che Antonio si potesse innamorare di un mio brano. Il fatto che l’abbia incisa, mi ha dato una gioia immensa, quasi fosse una maternità.
(Pubblicato su Poetarum Silva)