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A gennaio è uscito La Rivoluzione nel monolocale, il primo lavoro solista di Alì. In occasione del concerto al Santeria Summerclub, la due mesi musicale organizzata a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) dall’Enoteca Marius (gestita da Toti Poeta e da Antonio Mario Giglio), abbiamo colto l’occasione per parlare con Stefano Alì del suo album, del passato e del presente dentro e fuori dal monolocale.
Si legge un po’ ovunque che a trentacinque anni hai realizzato il tuo primo disco. Nessuno fa riferimento alla tua esperienza con i Froben. Devo pensare che questo progetto è chiuso?
Il progetto Froben si può definire chiuso. È una decisione che ho preso in tutta tranquillità insieme a mio fratello Andrea, che nel gruppo suonava il basso. Alla fine, con il progetto Alì, è come se stessi suonando ancora in una band, anche se porto avanti solo i miei brani.
Durante la scrittura di queste dieci canzoni hai mai pensato di adattare il disco al suono più ruvido dei Froben o avevi già in mente quello che volevi?
Volevo assolutamente discostarmi da quel suono. Tutte le canzoni sono nate in una situazione intima, con una chitarra acustica e la voce. Poi, una volta in studio, ho realizzato gli arrangiamenti con i ragazzi; è un modo per fare uscire delle idee diverse e un suono nuovo. Diciamo che è l’intero approccio a essere diverso.
A distanza di sei mesi dall’uscita, pensi che La rivoluzione nel monolocale sia riuscita?
Il disco è stato molto apprezzato e ne sono contento. Ma, a prescindere dal disco, secondo me questa rivoluzione non è riuscita e non avverrà mai. La situazione è complicata; anzi, è anche peggiorata. Anche parlando con altre persone, ascoltando le loro vicende e le loro storie, ti accorgi che viviamo in condizioni allucinanti. Pensa che con questo piccolo tour riusciamo a fatica a coprire le spese. Da domani ognuno ritorna al proprio lavoro. Io, ad esempio, lavoro in un piccolo supermercato e non guadagno nemmeno cinquecento euro al mese. Ma il monolocale resiste, riesco ancora a pagarlo (sorride).
Questi sono brani in bilico, fatti di precarietà e di incertezze. Come nascono?
Nascono dal mio vissuto. Anche perché, per indole, non potrei parlare di altro, non riuscirei a inventare una storia. Parlo solo di quello che vivo in prima persona, delle cose che sono realmente accadute, magari romanzandole un po’.
Niente rivoluzione nei tuoi testi, intesa come rivoluzione sociale o politica, ma solo una rivoluzione interiore, intima.
Una rivoluzione che è servita a sfogare le ansie e le vicissitudini. Parlo anche di una coppia di trentenni che vive un rapporto incerto, le solite cose che vivono tutti. Possono sembrare banali e scontate, ma sono queste le cose che volevo raccontare.
La produzione artistica è di Colapesce (Lorenzo Urciullo). A chi è venuta l’idea e com’è stato lavorare insieme?
Ho avuto l’idea nel luglio 2011, non appena ho finito di scrivere queste canzoni. Con Lorenzo ci si conosceva già da un po’, sia per via del suo progetto precedente (Albanopower) sia perché viviamo entrambi a Siracusa. Lui era uscito da poco con il primo ep firmato Colapesce. Il suo approccio mi è sempre piaciuto, fin dai tempi di Iuca Buona, il suo primissimo progetto. Quindi è stata una cosa molto naturale. Lui ha accettato subito con entusiasmo ed è iniziato il divertimento.
Quindi avete iniziato a lavorare al disco già nel 2011?
Abbiamo iniziato a novembre 2011 con le prime registrazioni. Poi, per via dei relativi impegni, abbiamo interrotto e ripreso le registrazioni diverse volte; alla fine, in tutto, sono durate circa otto mesi.
Tra le varie collaborazioni del disco c’è anche Carmelo Amenta.
Per me lui è come un fratello. Tutti i musicisti che hanno suonato nel disco sono prima di tutto amici e tra amici ci si aiuta. Carmelo adesso uscirà con un nuovo disco e collaboreremo insieme, come se fossimo chissà chi (ride). Però è bello.
Musicalmente la Sicilia è comunque una terra molto attiva in questo periodo.
Forse perché in questo momento c’è voglia di fare, cosa che magari manca in altre regioni. C’è voglia di esprimersi e di dire quello che si pensa.
Com’è nata la scelta di fare una cover de Il miglior sorriso della mia faccia di Paolo Conte? Onestamente, in un tuo disco, mi sarei aspettato tanti altri artisti ma non Conte.
Lo so (sorride). Ho passato moltissime sere a cercare il brano giusto. All’inizio ho pensato a “Se tu sapessi” di Bruno Lauzi. Poi, quando ho ascoltato “Il miglior sorriso della mia faccia” mi sono detto “è lei”. Bisogna anche dire che il testo si inserisce alla perfezione con le tematiche dell’album, quindi con la band abbiamo deciso di arrangiarla in studio e il risultato ci è piaciuto subito.
Nel disco citi diverse band, dai Wolfango ai Wilco; con quali ascolti si è formato Alì?
Soprattutto con i Broken Social Scene, band che ho amato molto e che tuttora amo, ma anche con gli Wilco. Ammetto però che arrivo dal brit-pop. Per anni ho ascoltato i Blur, ho iniziato a seguirli dal primo album (Leisure). Poi, crescendo, ho scoperto l’America. La musica che mi manca e che ho vissuto poco è quella degli anni settanta. Il mio percorso parte dal dark degli anni ottanta.
E tra gli italiani, chi ascolti in questo periodo?
Ultimamente ascolto molto Alessandro Fiori. Secondo me lui e Paolo Benvegnù sono due di quei cantautori che fra trent’anni saranno come Battisti e Tenco oggi. Anche Pino Marino è uno che mi piace molto.
In “Continuare a vendere oro” canti: “I Broken Social Scene, i Wilco e i Morphine ti aiutano a mandar giù del buon vino”; anche quello che succede intorno?
Certamente. Il buon vino infatti era un pretesto, perché io non bevo. La buona musica aiuta a mandar giù tutto il marcio che uno vive quotidianamente. È una distrazione, è quella che ti aiuta ad andare avanti. Credo molto nella distrazione, non tanto nella salvezza. Non si salverà mai questo mondo, ma la distrazione aiuta e ci aiuterà.
Anche la curiosità aiuta.
Assolutamente. Diffido sempre da chi non ha curiosità, o voglia di capire o voglia di provarci. Diciamo che forse l’unica salvezza sta nel fare quello che ti piace fare. Io sto bene facendo musica. Se mi togliessero la possibilità di comporre e di suonare con gli amici nei concerti, sarei un uomo finito.
Progetti futuri?
Quest’anno porterò avanti questo disco. Da poco è in rete il video di “A me il mare piace quando è sera” (qui sotto, ndr), un brano nuovo che farà parte del secondo lavoro.
(Pubblicato su Shiver)