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Potare per rinascere
È uscito in questi giorni Come far nascere un fiore, il primo best of de Le Vibrazioni, che raccoglie il meglio dei primi dieci anni di carriera. Un lavoro che è anche un addio alla Sony, con la quale la band milanese ha dichiarato di chiudere i ponti, lasciando però sempre aperta una porta per il futuro, futuro discografico al momento incerto. Abbiamo incontrato il frontman, Francesco Sarcina, proprio negli uffici della Sony, per saperne di più. E questo è quello che ci ha raccontato.
Partiamo dal best e dal suo titolo, che poi è anche quello dell’inedito attualmente in radio. Come far nascere un fiore?
Il titolo prende spunto da un episodio di vita. La canzone parla del rapporto con un amico, rapporto nel quale è stato necessario fargli del male, così da renderlo partecipe della realtà dei fatti e dargli la libertà di decidere. E’ quello che accade anche con le rose; il gesto di potare è molto violento, ma dà poi la possibilità alla pianta di crescere meglio. L’essere veri e diretti è qualcosa che manca in quest’epoca di rapporti umani fatti di ipocrisia. Così si creano un sacco di maschere difficili da togliere.
Un best generalmente chiude un capitolo, in questo caso un rapporto?
Sì, stiamo chiudendo il rapporto con la Sony e per noi è un momento di estrema riflessione. Ho pensato che fosse importante per la band incidere tre brani inediti scritti tutti insieme e non solo da me. Tra gli autori, infatti, c’è anche il vecchio bassista del gruppo, Marco “Garrincha” Castellani, uscito dal gruppo qualche anno fa. Uno dei tre brani è strumentale, ed è la dimostrazione di come Le Vibrazioni siano anche dei buoni musicisti. Si chiudono così dieci anni molto gratificanti, dieci anni di amore e odio.
Un best come titoli di coda?
Esatto, potevamo chiudere con un disco di inediti, ma questa è stata la soluzione migliore, che ha accontentato tutti. Anche perché, per come sono andate le cose, ci siamo stufati di regalare brani che poi non vengono valorizzati, anche per colpa di un mercato in continuo cambiamento.
In che senso?
Con il disco precedente è successo che ci siamo trovati in mezzo all’embargo delle radio, al licenziamento del direttore (Rudy Zerbi, ndr) che ci ha creato grossi problemi. Il video girato con Valeria Golino, poi, non è stato acquistato dalla Sony e così ci siamo trovati con un bel disco senza promozione alcuna. E ammetto che la cosa ci ha fatto incazzare parecchio. Il singolo non veniva trasmesso in radio e alla fine il video l’abbiamo fatto circolare noi in rete.
Quindi c’è rancore?
Con la Sony ci lasciamo con amore, senza rancore. Magari firmeremo un nuovo contratto con loro o forse intraprenderemo la strada dell’indipendenza. Nel frattempo io scrivo.
All’uscita del disco seguirà un tour?
Ci piacerebbe fare un tour nei teatri, che sarebbe la cosa ideale per un best of. Ancora non abbiamo deciso nulla, ma in ogni caso dovrebbe partire tra febbraio e marzo.
Dieci anni di attività sono abbastanza per fare un primo bilancio dei momenti più belli.
Ce ne sono stati tanti, soprattutto all’inizio. Come quando si dormiva in furgone per suonare e sognavamo di sentire gli altri cantare le nostre canzoni. Ma non sono mancati anche momenti brutti, come il suicidio di David, un nostro amico chitarrista. E’ stato un trauma enorme per noi. La canzone Non mi pare abbastanzadel primo disco è dedicata a lui. Altro momento difficile è stata la separazione dal nostro manager Demetrio Sartorio, che ci ha portato al successo lottando contro tutti gli schemi. Quando ci siamo divisi c’è stata molta sofferenza.
L’anno scorso avete aperto il concerto degli Ac-Dc e siete stati contestati in modo molto violento…
…come c’è la violenza negli stadi, c’è anche quella nei concerti. All’estero, in qualunque festival, non sarebbe mai successo. Ma noi siamo primitivi, siamo rimasti al medioevo, anche se usiamo l’iPhone o l’iPad. Ci hanno letteralmente massacrato, ma ce l’aspettavamo.
Ci racconti della tua incursione nella scena hip-hop? Naturalmente ci riferiamo alla collaborazione con Don Joe e Shablo nel singolo Le leggende non muoiono mai.
L’hip hop non è un genere che seguo, ma mi piace mettermi alla prova con cose nuove. È stata un’esperienza che mi è piaciuta. Ho trovato molto più autentico il loro mondo rispetto a quello della musica italiana in generale. Ecco, diciamo che la musica italiana mi ha stufato.
Un’affermazione un po’ forte…
Sono un grande amante della musica italiana, da Lucio Battisti a Fabrizio De Andrè, da Ivan Graziani a Le Orme e alla Pfm. Loro avevano un’inventiva che oggi manca. In questo momento socio culturale così difficile, ci sarebbe da cantare e da fare rivoluzioni. Quello che manca nella musica italiana è il comunicare, il dare un senso alle cose, cosa che forse esiste nel mondo dell’hip-hop. Anche X-Factor ha contribuito a rovinare il modo in cui il popolo recepisce la musica. La musica è qualcosa di sacro, e trasformarla in un reality, dove addirittura le band non sono contemplate, è sbagliato. Mi avevano anche chiesto di prendere il posto di Morgan, ma ho rifiutato sia perché mi è sembrata una cosa indelicata sia perché X-Factor proprio non mi piace.
E la tv?
La tv serve a distaccare dalla pesantezza della quotidianità. Ma oggi è diventata davvero come il grande fratello di Orwell, annichilire la mente per soffrire di meno. Così il popolo non soffre, ma lo puoi sfottere. Ci si dimentica che il potere è del popolo e non di chi ci governa. La capacità di pensiero viene cancellata, per non soffrire.
I prossimi passi de Le Vibrazioni verso quale direzione si muoveranno?
Il cinema è un mondo che ci affascina molto. Sono amico di Scamarcio, che tra l’altro suona anche la batteria e capita spesso di fare lunghe jam session insieme. Ecco, una delle novità che posso dire in anteprima è che per fine anno sarà pronto un cortometraggio in cui recitiamo, con la regia di Fabio Luongo. Parlerà di noi, ma ancora non possiamo svelare altro…
(Pubblicato su PopOn)