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Apriamo l’anno recuperando una mancanza del 2010, anno in cui è stato pubblicato dalla Universal il cofanetto I miei primi 50 anni di Nico Fidenco, in cui l’artista attraversa la sua carriera da ogni punto di vista (cantante, compositore e musicista). Nei sei cd presenti (127 brani in tutto) ci sono infatti le canzoni di musica leggera, quelle da film, le colonne sonore da cinema, le sigle dei cartoni animati, insomma quasi tutto il suo poliedrico repertorio. Una carriera lunga e importante quella di Mister legata a una granello di sabbia, che abbiamo omaggiato con l’incontro.

Nei mesi scorsi è uscito il cofanetto che festeggia i suoi 50 anni di carriera, un modo per fare un bilancio. Allora cosa vede se si volta indietro e cosa se guarda in avanti?
Se mi volto indietro, vedo tantissime cose che ho fatto e che ho scoperto di aver realizzato solo quando ho iniziato a lavorare – con l’aiuto di altre persone – a questo cofanetto. Perché mentre si lavora non ci si rende conto di tutto quello che si realizza. Per il resto, spero di poter pubblicare un altro cofanetto analogo, ma è una speranza vana (ride).

In molti la conoscono e ricordano per i suoi successi di musica leggera, ma alla fine degli anni Sessanta, forse anche a causa dell’avvento del Beat, iniziò a comporre musiche per film. Come andò?
Ho iniziato a realizzarle quasi per scherzo. In quel periodo alla RCA si occupavano anche della confezione di colonne sonore. Un giorno mi chiamarono, chiedendo se volevo comporre qualcosa per loro. Pur ritenendomi poco adatto, mi sono messo in gioco e ho iniziato a collaborare con Luis Bacalov, per poi continuare per conto mio. Ricordo che scrissi All’ombra di una colt, vendendo centinaia di migliaia di copie del disco. E a quello sono seguiti altri successi.

Perché smise?
Per l’avvento dei Super4. Con Riccardo Del Turco, Jimmy Fontana e Gianni Meccia, formammo questo gruppo che mi allontanò dalle colonne sonore. Da un punto di vista economico è stato sicuramente negativo. Ma mi divertiva molto di più il confronto con il pubblico, le serate con gli altri colleghi. E si sa che, perdendo i contatti con i produttori e i registi, si esce del tutto fuori dal giro.

E se la divertiva, perché è terminata l’avventura con i Super4?
Facevamo uno spettacolo divertente che al pubblico piaceva molto. Abbiamo trascorso dieci anni in giro per serate. Poi ci siamo allontanati, senza litigare, forse perché alcuni di noi avevano manifestato esigenze diverse. Così, sono tornato indietro, alla ricerca dei vecchi contatti, ma mi sono ritrovato con un mondo discografico del tutto cambiato.

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Per chi non la conosce, soprattutto per i giovani d’oggi, chi era Nico Fidenco negli anni ’60?
Era un ragazzo che voleva fare il regista. Avevo vinto il concorso per accedere al Centro Sperimentale di Cinematografia, sostenendo l’esame con Rossellini. Fu proprio grazie a lui, che mi scelse, che potei frequentare il Centro Sperimentale. Mi trovai di fronte ad artisti del calibro di Rossellini e di Giulio Blasetti. Dopo un anno e mezzo di studi, lasciai il Centro Sperimentale, pensando fosse tempo perso. E così cominciai a fare altri lavoretti.

E poi con Morricone, Micocci, Bacalov e Carlo Alberto Rossi fondò la Parade…
Vincenzo Micocci era il direttore artistico della RCA. Quando venne spodestato, andò a Milano alla Ricordi. Ma Micocci aveva troppa nostalgia di Roma e decise di fondare nella capitale una nuova etichetta, la Parade appunto, che riuniva autori di musiche per film, tra cui Morricone, Bacalov e Armando Trovajoli. Non durò molto, ma fu un bel periodo.

Tra le tante cose ha fatto anche parte del Sindacato Nazionale dei Cantanti. Oggi, secondo lei, cosa si potrebbe fare per aiutare la discografia?
In un certo senso, è come se nell’ambiente discografico fosse scoppiata una bomba atomica. Ad esempio, la RCA che un tempo era la perla del settore è stata risucchiata dalla BMG Ariola, diventata poi Sony. Una volta c’era il direttore artistico che era un punto di riferimento. Si andava da lui con un’idea e se ne discuteva. Alla RCA c’era Micocci, appunto, che era quasi come un padre. Ascoltavamo insieme i provini e ci diceva cosa cambiare, dando consigli sull’inciso e su tutto il resto. Oggi i cantanti non sanno a chi rivolgersi. Gli unici canali sono programmi come X-Factor e, in tutta franchezza, a chi vuole intraprendere questa carriera oggi non saprei che consiglio dare.

Negli anni Sessanta c’erano trasmissioni come “Senza rete” e “Sette voci”. Pensa che programmi come X-Factor o Amici possano in qualche modo reggere il confronto?
“Senza rete” era un programma per cantanti già affermati. Invece, “Sette voci” era una vetrina per i giovani che, se avevano qualcosa da dire, avevano la possibilità di farlo. Si puntava su una canzone, magari anche sbagliando. Oggi si punta sull’immagine e su poco altro.

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Chi le piace degli artisti di oggi?
Me ne disinteresso abbastanza. È un periodo che urlano tutti. Passati gli anni Settanta, con Riccardo Cocciante e Claudio Baglioni, trovo che i nuovi artisti non sappiano più cosa dire. Non comunicano niente di nuovo, ci sono voci bellissime ma sono totalmente impersonali. Forse negli anni Sessanta non avevamo voci altrettanto belle ma avevamo delle canzoni sicuramente più interessanti. Oggi non ci si riesce ad affezionare a niente, perché sul mercato l’offerta è eccessiva.

Il suo vero nome è Domenico Colarossi, come mai scelse Fidenco come nome d’arte?
Mi vergognavo di iniziare a fare questo lavoro. E allora la mia fidanzata, che era la figlia dello sceneggiatore e regista Vittorio Mertz, mi consigliò di scegliere uno pseudonimo. Ne mandai una decina alla Siae che mi rispose dopo qualche settimana, comunicandomi di aver scelto Fidenco. Inizialmente era il mio pseudonimo come autore, ma poi quando ho inciso il primo disco con la RCA, scelsi di tenerlo anche come cantante. E dopo cinquant’anni, posso dire che mi ha portato bene.

(Intervista pubblicata su PopOn)