Il futuro incerto
Ci informano che il 24 settembre a Venezia si terrà Venight, la Notte Europea della Ricerca, iniziativa che vede, ogni anno e sempre nello stesso giorno, il mondo della ricerca darsi appuntamento in differenti città europee. Leggiamo che alle 20, in Campo S.Margherita, si esibiranno per l’occasione i Mercanti di Liquore e Artemoltobuffa. Cogliamo l’occasione per contattare i Mercanti, che apprezziamo e seguiamo dagli albori, da quando nel 1999 pubblicarono il primo cd intitolato Mai paura, nel quale ci spiattellarono con grande maestria l’amore per Fabrizio De André. Ma da allora di anni ne sono passati tanti e, disco dopo disco (sei in tutto, compreso un live), spettacolo dopo spettacolo (innumerevoli), hanno superato la soglia dei dieci anni di attività. Ecco, allora, che la data veneziana si è trasformata in una buona occasione per chiacchierare con Lorenzo Monguzzi, leader del gruppo monzese, che ci ha svelato un prossimo progetto da solista.
La Notte Europea della Ricerca ci dà il là per partire con un tema molto serio. Qual è il vostro punto di vista sulla ricerca in Italia, oggi, e che ipotesi azzardereste per il futuro?
Il mio punto di vista è quello di una persona esterna, quindi senza sufficienti competenze per azzardare un’ipotesi di futuro. Sicuramente l’atteggiamento che si ha verso la ricerca è qualcosa che non mi piace e che mi preoccupa parecchio. Mi sembra che da molti anni il nostro Paese, inteso nella sua totalità e di cui è espressione anche la classe politica (che, ahimè, forse è quella che ci meritiamo!), tenda ad occuparsi principalmente della contingenza del presente e esaurisca nella gestione del presente o del futuro a brevissima scadenza le sue intenzioni e le sue capacità. Questo è uno dei primi sintomi dell’impoverimento del Paese e del popolo, non avere più la capacità di programmare un futuro, di investire anche su qualcuno o qualcosa che possa migliorare questo futuro sotto tutti gli aspetti. E questo secondo me vale per la ricerca, per la scuola e per la cultura, che, guarda caso, sono tutti ambiti su cui stanno facendo degli scempi a livello di finanziamenti.
Anche lo scenario musicale si è impoverito. A voi che nascete come cover band di Fabrizio De André, chiedo quanto manca oggi nella scena artistica italiana una figura come la sua?
Quando la nostalgia diventa uno dei sentimenti dominanti, è un bruttissimo segnale. Tutti abbiamo dei mostri sacri che, quando vengono a mancare, lasciano un vuoto gigantesco. La mia paura è che personaggi meravigliosi come De André, Gaber e Pasolini, fossero il frutto di tempi, di possibilità e di situazioni che, all’epoca, non amavamo. Io stesso non ricordo periodi recenti o passati in cui abbia pensato di vivere tempi felici ed essere in un paese perfetto. Eppure, a riguardarli oggi, sembrano più stimolanti, più vivi, meno anestetizzati da logiche legate alla sopravvivenza, al profitto, a questioni molto più superficiali. E allora anche questa santificazione dei cari estinti è una cosa che, dal punto di vista del legame affettivo, sono sempre felice di fare. Potrei parlare di De André per settimane.
Quale trovate sia stata la sua capacità più grande?
Quella di condensare in pochi minuti delle storie, delle emozioni, l’andare in profondità, cosa che nella canzone italiana è riuscito a pochissimi. Per antonomasia, la canzone dovrebbe essere qualcosa che non scava dentro, che fa trascorrere qualche minuto in leggerezza e in allegria. E’ giusto, ma è anche bello che qualcuno riesca a farla diventare qualcosa di più profondo. La cosa che non mi piace è che questa nostalgia, questo dire “ah però quanto ci mancano e quanto sono stati grandi”, diventi un altro alibi per non coltivare nuovi talenti.
Nuovi talenti in Italia, argomento doloroso…
…la musica in Italia non se la passa molto meglio della ricerca. C’è chi sta benissimo, ci sono i soliti noti che riescono a fare la vita da nababbi grazie alla loro attività musicale, ma tutto quello che riguarda la crescita o il ricambio soprattutto di un certo genere, è una cosa ardua. Faccio fatica a immaginare Fabrizio ventenne che si presenta a X-Factor. Probabilmente le migliori menti musicali e non del nostro paese possono avere la tentazione di andarsene da un’altra parte pur di non sottoporsi a umiliazioni di questo tipo. Ed è una cosa che vale sia per la musica sia per la ricerca.
Con queste premesse non c’è alcuna speranza per la musica “d’autore” e, più in generale, per il nostro Paese?
Ci sono dei segnali positivi che riguardano la percezione che ho del mio Paese, che trovo confortanti rispetto a quello che ci viene da pensare guardando il telegiornale o leggendo i quotidiani. Siamo un Paese così imbarbarito, così schizofrenico, così individualista che faccio fatica a spiegarmi come artisti come me, come Marco Paolini o Ascanio Celestini abbiano una grossa attenzione e un grossissimo affetto da parte del pubblico, pur se in scale diverse. Per carità, io non penso di essere una star e di certo non riempio gli stadi, però riesco a vivere di questo mestiere e ho quotidianamente delle grandi soddisfazioni. Come quando ti accorgi che quello che scrivi, semplice o complicato che sia, arriva spesso a persone molto attente, che hanno bisogno di qualcosa, o di qualcuno, per riflettere o per emozionarsi in modo non preconfezionato. Ed è un vero peccato. Io non credo che ci siamo poi così abbruttiti. Ci sono ancora tante possibilità e tante energie, bisognerebbe soltanto investire del tempo e avere pazienza, perché le cose fatte con qualità e sincerità sono molto apprezzate dal pubblico.
Sono passati due anni dall’uscita di Miserabili, disco che prende il titolo dallo spettacolo teatrale che avete realizzato con Marco Paolini. In questo periodo state lavorando a dei brani nuovi, a un eventuale disco?
In realtà ci sarà una mezza rivoluzione. Fino a pochi mesi fa non eravamo ancora sicuri di cosa sarebbe successo, ma ora posso anche raccontarlo. Stiamo finendo le date estive come Mercanti di Liquore e, parallelamente, io e Marco Paolini stiamo portando in giro lo spettacolo “La macchina del capo”, che parla dell’infanzia, sempre sullo stile degli altri spettacoli che abbiamo fatto con lui.
E con i Mercanti?
Con i Mercanti sono quindici anni che suoniamo senza interruzione. Non ci sono mai stati momenti di riflessione, occasioni per fermarsi a ragionare perché, grazie al cielo, siamo sempre stati impegnati a fare quello che c’era da fare, a sfruttare ogni minima occasione che si presentasse. Adesso, però, c’è bisogno di un momento di riflessione, di pausa, che non so cosa significa. Non significa necessariamente lo scioglimento del gruppo, è una cosa di cui non abbiamo assolutamente parlato. E’ da tanto tempo che volevo fare un progetto da solo, staccare un po’ la spina dalla carovana dei Mercanti e vedere cosa sarebbe successo. E questo mi sembra il momento più adatto. Quindi, la prossima uscita sarà a nome mio. Ho forse l’esigenza di provare una cosa diversa e poi vedremo quello che succederà.
Quando ci sarà questo debutto?
E’ difficile essere precisi, però mi piacerebbe realizzare il tutto entro la primavera dell’anno prossimo, al massimo in autunno.
Prevedi collaborazioni?
Ci sono già dei contatti, anche se non sono ancora passato alla fase operativa. Sto già lavorando da un po’ di tempo su alcuni pezzi e, appena finirò di girare, vorrei iniziare a coinvolgere un po’ di musicisti, giusto per entrare nel vivo della cosa. Organizzerò degli incontri musicali che serviranno a far entrare altre idee, altra gente. C’è tutta una serie di musicisti che mi piacerebbe coinvolgere. Ho anche chiesto a Paolini se ha qualche testo da suggerire. Mi farebbe piacere anche perché ormai è un rapporto talmente intenso e libero che è solo una gioia pensare di avere qualcosa di suo in un disco che esce. Avevo anche iniziato a scrivere qualcosa insieme allo scrittore torinese Andrea Bajani, ma non so se alla fine riusciremo ad avere il tempo di ritrovarci e di finire quello che avevamo cominciato. Lui è molto bravo, ho trovato il suo “Se consideri le colpe” un gran bel libro.
Lo stile resterà sempre quello dei Mercanti di Liquore o sarà diverso?
Bisognerebbe che mi chiarissi come identifichi lo stile dei Mercanti.
Anche se siete un gruppo, e di solito i gruppi vengono identificati come folk, pop e via dicendo, voi siete più vicini alla canzone d’autore. Continuerai in questa direzione?
Allora sì, l’ambito rimane quello. Mi fa piacere e trovo interessante questa cosa che hai detto. In realtà l’approccio d’autore riferito a un gruppo è una cosa abbastanza anomala e che a sua volta, nel nostro caso, cela un’anomalia. Si dice musica d’autore per riferirsi a un preciso ambito (anche se in realtà la stessa Macarena aveva un autore). La musica d’autore, per come la intendiamo noi, necessita di un lavoro di scrittura dei testi che spesso deve diventare molto personale, molto individuale. Che è quello che è successo da sempre con i Mercanti: dei testi me ne occupavo io, ed era una cosa che stava bene a tutti. All’inizio eravamo più coesi, ma poi la demarcazione ha iniziato a farsi sempre più visibile, almeno per noi. Ed è lo stesso motivo per cui adesso mi sembra giusto provare a fare una cosa in cui mi prendo la responsabilità totale del progetto. Resterò nell’ambito della canzone d’autore perché è quello che mi viene meglio e che mi ha dato più soddisfazione.
(Pubblicato su PopOn)